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Hyperpolis, chi siamo: La costituzione come antidoto al neoliberismo

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Hyperpolis è un collettivo di associazioni, accademie, riviste, blog e siti internet che, forti di una diversa formazione e sensibilità culturale e politica, condividono la necessità di ricreare nel nostro Paese una cultura civile, politica ed economica funzionale a un progetto di emancipazione umana che abbia come punto di partenza i valori e i principi che sono alla base della Costituzione repubblicana.

L’Associazione Paolo Sylos Labini, Cetri-Tires, il Centro studi Federico Caffè, la Fondazione Nenni, La qualità sociale, Il Ponte, Keynes blog, Giuristi democratici, Socialismo 2000 sono i primi promotori di questo sodalizio culturale.

 

La costituzione come antidoto al neoliberismo

La crisi politica in cui ci troviamo investe le strutture portanti degli Stati nazionali e delle economie capitalistiche occidentali. Essa si presenta come crisi economica e sociale, ma come ogni crisi di ordine pratico, è alla radice una crisi culturale e morale.

L’assenza di una politica autenticamente democratica, infatti, va di pari passo con la subalternità culturale degli attuali quadri dirigenti, soprattutto di quelli a capo di partiti e movimenti politici, all’economicismo imperante che pone il profitto a misura di tutte le cose e mette in questione l’intera struttura delle nostre vite, dominate da un sistema anonimo di potere che si muove secondo leggi che sfuggono alla logica comune.

In risposta a questa deriva negli ultimi anni si è assistito al fiorire di conflitti sociali e di esperienze collettive volti a riaffermare la centralità del “pubblico” come strumento di emancipazione e luogo dell’esercizio della sovranità popolare. Particolare importanza hanno avuto i movimenti per la giustizia ambientale, per i “beni comuni” e per l’“acqua pubblica”, uniti nella battaglia referendaria del giugno 2011 la cui vittoria ha sancito il processo di ripubblicizzazione del servizio idrico, conquista illegittimamente ignorata tanto dal governo dell’epoca, quanto dai successivi.

Questo patrimonio di idee e di pratiche non solo ripropone il tema dell’attualità della Costituzione, e in particolare dell’art. 43 in tema di “socializzazioni”, ma contribuisce anche a declinare in maniera “altra” e più compiuta il concetto di democrazia nel suo senso più pregnante di autodeterminazione collettiva in un orizzonte costituzionale.

Ma affinché si creino le condizioni per la rinascita di un pensiero e di una prassi politica costituzionali capaci di alimentare un immaginario alternativo al discorso del neoliberismo dominante, è necessario riconnettere la politica ad una cultura innervata dall’eredità ideale dell’umanesimo militante europeo, e recuperare la tradizione di un’economia politica colta, laica e impegnata, in sintonia con i principi costituzionali nati nella lunga e travagliata gestazione dei moti risorgimentali europei e maturati nella Resistenza al totalitarismo nazi-fascista.

Da queste considerazioni nasce il bisogno di creare “Hyperpolis”, una rete di resistenza attraverso cui intellettuali, distanti da qualsivoglia collateralismo partitico e vassallaggio culturale, uniscano i loro saperi in una battaglia contro gli idòla fori del neoliberismo imperante.

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Il disfacimento dei paesi del “socialismo reale” ha accelerato la diffusione dell’ideologia capitalista, che si presenta oggi sotto la forma del neoliberismo e del “pensiero unico” che l’accompagna, secondo cui la libertà di mercato e, soprattutto, la libertà dei movimenti di capitale e di merci hanno il potere taumaturgico di liberare l’uomo dai suoi mali e di emancipare l’intera umanità, conducendola verso la “libertà e la democrazia”. In realtà la società neoliberista marginalizza l’uomo e il mondo in cui vive, asservendoli alla logica spietata della lex mercatoria.

Troppo spesso si dimentica che la democrazia novecentesca occidentale, pur incompiuta e spesso soffocata sull’altare della ragion di Stato o degli equilibri geopolitici, è stato il frutto di un lungo e travagliato processo che ha visto l’uno contro l’altro armati gli “spiriti animali” del capitalismo e milioni di lavoratrici e lavoratori, di donne e uomini in lotta per la conquista di diritti sociali e politici. Gli strumenti di mediazione di questa lunga battaglia di emancipazione umana sono stati grandi soggetti collettivi, sale della democrazia: partiti, sindacati, cooperative.

Con l’affermazione del neoliberismo e del «pensiero unico» che lo permea, tutto questo viene barattato con la falsa idea che la libertà consista nell’astratta libertà di scelta tra diverse opzioni politiche. Opzioni tutte rigorosamente precostituite e offerte alla moltitudine degli elettori, come la merce si offre alla massa inebetita dei consumatori. La nostra democrazia costituzionale è stata svuotata e ad essa sono stati contrapposti idola fori quali il laissez-faire, la riduzione delle prerogative pubbliche, le privatizzazioni, la mercificazione dell’esistenza, la guerra come risoluzione ordinaria delle controversie tra Stati denominata ipocritamente “guerra umanitaria”, la promessa della sicurezza in cambio di un lasciapassare ad agire impuniti.

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La democrazia e le libertà individuali e collettive, modellate su misura degli Stati nazionali nel trentennio successivo alla seconda guerra mondiale, sono oggi subordinate agli imperativi di potenze oligopolistiche transnazionali (FMI, World Bank, Wto,“Troika”, BCE, corporations, agenzie di rating) e la gran parte degli Stati “minori”, in modo più o meno marcato a seconda della storia nazionale di ognuno, sono stati confinati nella dimensione di province subordinate a regime di sovranità limitata, come è pienamente evidente per l’Italia.

In questa gabbia globale sono state rinchiuse e via via poste in “non cale” le Costituzioni degli Stati europei, e con esse sono progressivamente evaporati il riconoscimento, l’affermazione e la tutela dei diritti del lavoro e dei diritti sociali come condizione concreta dell’effettivo godimento dei diritti di libertà.

Il nostro paese, inserito nell’Unione europea – un abbozzo di confederazione neppure paragonabile a uno Stato federale, si è ritrovato, dagli anni ottanta del Novecento in poi, in un progressivo cataclisma geopolitico epocale: come un vaso di coccio fra vasi di acciaio nella ristrutturazione mondialista del sistema capitalistico, ne è uscito trasformato e deformato.

In questo contesto generale la società italiana appare avvitata su se stessa a causa delle storiche tare ereditate dal ventennio fascista e da secoli di occupazione straniera: indifferentismo alla politica, odio per le istituzioni, familismo amorale, ipocrisia e cinismo piccolo-borghese, endemica mediocrità delle classi politiche.

In questo corpo sociale guasto è cresciuto come un cancro, alimentandosi della spesa pubblica, un nuovo blocco sociale – molto più potente del vecchio blocco industriale-agrario – composto da un coacervo di organizzazioni criminali, imprenditoria parassitaria e politica deviata, che ha fatto della corruzione l’ordinario sistema di governo della cosa pubblica. Questo blocco sociale ha ottenuto procedure derogatorie per la concessione degli appalti di opere pubbliche, trasformando l’istituto della concessione, che prima imponeva l’obbligo di una gara pubblica, in un contratto a trattativa privata. Opere inutili che hanno causato devastazioni ambientali e impoverito il Paese, espropriando denaro pubblico alla collettività e alla spesa sociale.

L’incancrenirsi di questo sistema di corruzione ha prodotto l’implosione del sistema politico e dei partiti, che furono pensati dalla Costituente (art. 49 Cost.) quale strumento dei cittadini per determinare l’indirizzo e il funzionamento degli organi rappresentativi dello Stato, al fine di incrementare il regime democratico costituzionale.

La crisi attuale ha caratteri simili al disfacimento di un regime. Essa ci attanaglia su molteplici piani, dalla mortificazione sistematica del mondo del lavoro, alla distruzione dell’ambiente, allo svilimento della cultura, allo smantellamento della scuola pubblica, dell’università e della ricerca. Nel Paese si è così diffuso un senso di stanchezza e rassegnazione e una spoliticizzazione di massa, che fa da pendant all’ansia di un’investitura fideistica al leader o al capopopolo di turno – sia egli di destra, di centro, di sinistra. Infatti, la surrettizia modifica della forma costituzionale di governo, formalmente parlamentare ma nei fatti iper-personalistica e sostanzialmente presidenzialista, è stata definita “premierato assoluto” o “monocrazia”.

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In questo contesto occorre ripartire dai valori e dai principi di quella cultura politica che all’alba della Repubblica e della Costituzione, nel pieno della Resistenza, mosse la parte migliore e più avanzata degli italiani a progettare il futuro dell’Italia: la nostra democrazia. Le Repubbliche partigiane del Centro-Nord del Paese hanno rappresentato un esempio importante in tal senso, poiché hanno contribuito a conferire alla nostra Costituzione quel carattere sociale che le viene universalmente riconosciuto. Una democrazia sociale, una politica e un’economia praticate nell’interesse della collettività: il potere di tutti, cioè il diritto di tutti i cittadini ad una sempre più attiva e cosciente partecipazione alla gestione della cosa pubblica. Mai come oggi, invece, la “decisione” è distante da quell’oltre 90% della popolazione che si deve accontentare di spartirsi faticosamente meno della metà delle risorse avanzate dall’avidità dell’oligarchia dominante.

Per restituire alla Costituzione la sua carica emancipatrice bisogna abrogare le modifiche reazionarie apportate negli ultimi anni al Titolo V, e rilanciarne l’attuazione integrale, a partire da quelle parti surrettiziamente ignorate, con particolare riferimento al Titolo III sui rapporti economici, in cui sono previsti gli strumenti necessari per uscire dalle secche della crisi: l’intervento pubblico tramite le nazionalizzazioni, le socializzazioni e la pianificazione economica.

La Costituzione, dunque, rappresenta un vero e proprio antidoto al neoliberismo, perché in essa sono sedimentate, nella forma di diritti, le conquiste di intere generazioni che nel corso della storia si sono emancipate da condizioni di sudditanza. In essa sono custoditi i principi di quella ragione umanistica capace di una visione complessa della realtà in cui l’uomo è considerato nella sua interezza.

Nell’immediato dopoguerra i partiti fecero vivere nella società questa eredità culturale e politica, la sostennero e intervennero per completarne le mancanze. Oggi che questi soggetti politici sono stati annichiliti dall’omologazione neoliberista occorre riconnettersi a quell’immensa riserva di immaginario politico che vive nella nostra Costituzione al fine di creare nel Paese una coscienza civile in grado di arginare l’ondata neo-feudale che sta travolgendo gli avanzamenti culturali e sociali acquisiti in secoli di dure lotte.

Nell’intento dei promotori di questa iniziativa, dunque, il richiamo alla Costituzione non si risolve in una scialba difesa di diritti imbalsamati nel museo della storia moderna, ma intende riconoscere in essa non solo la rappresentazione di un presente di lungo periodo, ma anche una strada aperta a nuove possibilità, alla sensibilità di bisogni soffocati. Questa “lungimiranza bifronte” che attinge dal passato la possibilità di re-immaginare il nostro futuro è la nostra speranza, la nostra utopia concreta.

La Costituzione deve tornare a essere materia viva, dispositivo non solo di lotta politica e culturale, ma anche di formazione per le nuove classi dirigenti, sotto il quale nome non bisogna pensare  solo alla classe politica che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma soprattutto alla classe dirigente nel senso culturale e tecnico, a coloro che sono a capo delle industrie e delle aziende, a coloro che insegnano, che scrivono, agli artisti, ai professionisti, ai poeti.

Questo è il problema della democrazia.

 

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